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PERCORRERE IL SENTIERO

Nello studiare questa regola abbiamo visto che, nel lavoro magico, l’aspirante ora ha raggiunto il punto critico dell’oggettività. Egli cerca di diventare un creatore magico e di compiere due cose: 

1. Creare a nuovo il suo strumento o meccanismo di contatto, in modo che l’Angelo Solare disponga di un veicolo adeguato [582] a esprimere la Realtà. Come abbiamo notato, ciò comporta giusto tipo, giusta qualità, potenza e velocità.

2. Costruire le forme sussidiarie d’espressione nel mondo esterno per mezzo delle quali l’Energia incorporata, fluendo attraverso gli involucri ricreati, possa servire il mondo.

Nel primo caso l’aspirante si occupa di se stesso, lavorando entro la propria sfera e imparando così a trasformarsi e a ricostruire l’aspetto forma. Nel secondo caso impara a servire l’umanità, a costruire le forme d’espressione che incarneranno le nuove idee, i principi che emergono e i nuovi concetti che devono governare e completare il progresso della nostra razza.

Ricordate che nessun uomo è un discepolo, nel senso inteso da un Maestro, se non è un pioniere. Una risposta consapevole alla verità spirituale, il piacere che si prova per gli ideali del futuro, la compiaciuta accettazione delle verità della nuova era non costituiscono il discepolato. Se così fosse, i ranghi di discepoli si colmerebbero rapidamente, ma purtroppo non è il caso. È la capacità di pervenire alla comprensione delle prossime realizzazioni della mente umana che distingue l’aspirante alla soglia del discepolato accettato; è il potere, elaborato nel crogiuolo della strenua esperienza interiore, di scorgere la visione immediata e cogliere i concetti di cui la mente deve necessariamente rivestirla, che conferiscono all’uomo il diritto di essere riconosciuto come collaboratore del Piano (riconosciuto dai Grandi Esseri e non necessariamente dal mondo); è il conseguimento dell’orientamento spirituale, mantenuto fermamente, qualunque siano i disturbi esterni nella vita del piano fisico, che indicano a Coloro che osservano e cercano collaboratori che a un uomo può essere affidato qualche piccolo aspetto dell’opera da Essi intrapresa; è la capacità di immergere [583] e perdere di vista il se personale inferiore nel compito di guidare il mondo, guidati dall’impulso dell’anima, o che eleva l’uomo dalle file dei mistici che aspirano a quelle degli occultisti pratici, seppure d’inclinazione mistica.

Il lavoro in cui siamo impegnati è estremamente pratico; è inoltre di proporzioni tali che occuperà tutta l’attenzione e tutto il tempo di un uomo, anche tutta la sua vita di pensiero e lo condurrà all’efficiente espressione del compito della personalità (imposto da limitazioni karmiche e tendenze ereditarie) e alla costante applicazione del lavoro creativo e magico. Il discepolato è una sintesi di duro lavoro, sviluppo intellettuale, aspirazione costante e orientamento spirituale, oltre alle non comuni qualità d’innocuità positiva e occhio aperto che può vedere, a volontà, nel mondo della realtà.

È opportuno richiamare all’attenzione del discepolo alcune considerazioni che, per maggior chiarezza, elencheremo. Per divenire un adepto il discepolo dovrà:

1. Informarsi sulla Via.

2. Obbedire agli impulsi interiori dell’anima.

3. Non prestare attenzione ad alcuna considerazione terrena.

4. Vivere una vita che sia d’esempio agli altri.

Ad una prima lettura superficiale, questi quattro requisiti potrebbero sembrare facili da conseguire, ma se studiati con attenzione, diverrà evidente il perché un adepto è definito “una rara fioritura di una generazione di ricercatori”. Consideriamo ciascuno dei quattro punti.

1. Informarsi sulla Via. Uno dei Maestri ci ha detto che un’intera generazione di ricercatori può produrre un solo adepto. Perché dovrebbe essere così? Per due ragioni.

In primo luogo, il vero ricercatore è colui che si avvale della saggezza della sua generazione, è il miglior prodotto del periodo in cui vive eppure, è sempre insoddisfatto e il [584] suo desiderio interiore di saggezza rimane inappagato. Gli sembra che esista qualcosa di più importante della conoscenza e qualcosa di ben più grande dell’esperienza accumulata nella sua epoca e nel periodo in cui vive. Egli riconosce la possibilità di un ulteriore passo avanti e cerca di compierlo per aggiungere una nuova conquista a quelle già ottenute dai suoi predecessori. Nulla lo soddisfa finché non trova la Via e nulla appaga il desiderio che arde al centro del suo essere, all’infuori di ciò che si trova nella casa del Padre. Egli è ciò che è perché ha calcato tutte le vie minori e le ha trovate insoddisfacenti, si è assoggettato a molte guide solo per trovarle “ciechi che guidano altri ciechi”. Null’altro gli rimane se non divenire la guida di se stesso e trovare da solo la propria via verso casa. Nella solitudine, sorte d’ogni vero discepolo, nascono la conoscenza di se stesso e la fiducia in se stesso che lo renderanno idoneo a divenire a sua volta un Maestro. Questa solitudine non è dovuta ad alcun spirito di separazione, ma alle condizioni della Via stessa. Aspiranti, tenete ben presente questa distinzione!

In secondo luogo, il vero ricercatore dispone di un raro tipo di coraggio, che consente a chi lo possiede di mai vacillare e di far risuonare chiara la propria nota anche in mezzo al tumulto del mondo. I suoi occhi sono addestrati a vedere oltre le nebbie e i miasmi della terra, a quel centro di pace che nessun evento terreno può turbare; il suo orecchio attento e addestrato, avendo colto un sussurro della Voce del Silenzio, è mantenuto in sintonia con quell’alta vibrazione ed è quindi sordo alle seducenti voci minori. Anche questo fatto è causa di solitudine e determina quel riserbo, avvertito dalle anime meno evolute quando si trovano in presenza di coloro che avanzano in testa.

Viene a crearsi una situazione paradossale, perché al discepolo si dice di informarsi sulla Via, ma non c’è nessuno che possa dargli indicazioni. Coloro che conoscono la Via non possono parlare, poiché sanno che il Sentiero deve essere costruito dall’aspirante, come il ragno tesse la sua tela, dal centro [585] del proprio essere. Perciò, in ogni generazione fioriscono e diventano adepti soltanto le anime che, da sole, hanno “calpestato il torchio della collera di Dio” o, in altre parole, hanno esaurito il loro karma da sole e, con intelligenza, si sono accinte a percorrere il Sentiero.

2. Obbedire agli impulsi interni dell’anima. Gli istruttori del genere umano fanno bene ad insegnare all’iniziato in erba a praticare la discriminazione e a prepararlo all’arduo compito di distinguere fra:

a. Istinto e intuizione.

b. Mente superiore e inferiore.

c. Desiderio e impulso spirituale.

d. Aspirazione egoistica e incentivo divino.

e. La spinta che emana dai signori lunari e lo sviluppo del Signore solare.

Non è un compito facile né lusinghiero cercare di conoscere se stessi e scoprire che anche il servizio reso e il nostro desiderio di studiare hanno forse un’origine fondamentalmente egoistica e poggiano sul desiderio di liberazione o sull’avversione per la monotonia della vita quotidiana. Colui che cerca di ubbidire agli impulsi dell’anima deve coltivare l’accuratezza nell’esaminarsi e la sincerità verso se stesso, ciò che ai nostri giorni è ben raro. Egli dica a se stesso: “Devo essere sincero con il mio Sé” e nell’intimità della sua vita, nel segreto della sua meditazione non cerchi mai attenuanti alle sue colpe o scuse ai suoi difetti. Impari ad analizzare le proprie parole e azioni, i propri moventi e a chiamare le cose con il loro vero nome. Soltanto così si eserciterà alla discriminazione spirituale e imparerà a riconoscere la verità in tutte le cose. Soltanto cosi si perviene alla realtà e si conosce il vero Sé.

3. Non tener conto delle prudenti considerazioni della scienza e sagacia terrene. Se l’aspirante deve coltivare la capacità di camminare da solo, se deve [586] sviluppare la facoltà di essere sincero in tutte le cose, ha pure bisogno di coltivare il coraggio. Egli dovrà necessariamente contrastare l’opinione del mondo, anche nella sua espressione migliore, e ciò accadrà assai di frequente. Deve imparare a fare la cosa giusta, secondo il proprio modo di vedere e le proprie conoscenze, noncurante delle opinioni anche dei personaggi più importanti e quotati della Terra. Deve dipendere da se stesso e dalle conclusioni cui è giunto nei momenti di comunione e illuminazione spirituale. È a questo punto che molti aspiranti falliscono. Essi non fanno veramente il meglio; essi non riescono ad agire esattamente come detta la loro voce interiore; essi trascurano alcune cose che sono spronati a fare nei momenti di meditazione e non dicono le parole che il loro mentore spirituale, il Sé, li esorta a pronunciare. È l’insieme di questi dettagli trascurati che determina i grandi insuccessi.

Nella vita del discepolo non vi sono inezie; una parola non detta o un’azione non compiuta possono dimostrarsi i fattori che impediscono l’iniziazione.

4. Vivere una vita che sia d’esempio agli altri. È proprio necessario che mi soffermi su questo requisito? Sembrerebbe di no eppure, questo è un altro punto sul quale gli uomini falliscono. Che cosa è, dopo tutto, il servizio di gruppo? Semplicemente una vita d’esempio. Il miglior esponente della Saggezza Eterna è colui che ogni giorno, nel luogo dove si trova, vive la vita del discepolo; egli non la vive nel luogo dove pensa che dovrebbe essere. Forse, la causa del maggior numero d’insuccessi fra gli aspiranti all’adeptato è la codardia. Gli uomini non agiscono bene come dovrebbero nel luogo dove si trovano, perché hanno sempre qualche ragione per credere che dovrebbero essere altrove. Quasi senza rendersene conto, gli uomini rifuggono dalle difficoltà, dalle condizioni disarmoniche, dai luoghi dove esistono problemi e dalle circostanze che richiedono un’azione d’alto livello e che sono proprio adatte a stimolare il meglio che c’è nell’uomo, [587] purché egli rimanga al suo posto. Essi fuggono da se stessi e dagli altri, invece di vivere la vita, semplicemente.

L’adepto non pronuncia mai alcuna parola che possa offendere, nuocere o ferire. Perciò ha dovuto imparare il significato del linguaggio in mezzo all’agitazione della vita. Egli non perde tempo a compatire se stesso o a giustificarsi, poiché sa che la Legge lo ha posto dove si trova e dove può meglio servire; ha inoltre imparato che le difficoltà sono sempre opera dell’uomo stesso e risultato del suo atteggiamento mentale. Se in lui nasce un impulso a giustificarsi, lo riconosce come una tentazione da evitare. Egli si rende conto che ogni parola pronunciata, ogni azione compiuta, ogni sguardo e ogni pensiero hanno un effetto sul gruppo, in bene o in male.

Non è quindi evidente il motivo per cui così pochi giungono al conseguimento e così tanti falliscono?