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SALVARSI DALLA MORTE

SALVAGUARDARSI DALLA MORTE

Veniamo ora alla seconda fase del nostro studio delle parole finali di questa regola. Abbiamo trattato del modo di salvarsi dai pericoli inerenti alla creazione di forme pensiero da parte di un essere umano che ha imparato, o sta imparando, a creare sul piano mentale. Molto si sarebbe potuto dire sull’incapacità della maggioranza degli studenti a pensare con chiarezza. Il pensare con chiarezza comporta la capacità di dissociarsi, almeno temporaneamente, da tutte le reazioni e attività di natura emotiva. Finché il corpo astrale è in uno stato di moto incessante e i suoi umori e sentimenti sono abbastanza potenti da attirare l’attenzione, i processi di pensiero puro e positivo non sono possibili. Finché non vi sia una comprensione più generale del valore della concentrazione e della meditazione e finché la natura della mente e le sue modificazioni non siano più universalmente comprese, ulteriori insegnamenti su questo soggetto sarebbero inutili.

In queste istruzioni ho cercato di indicare [493] i primi passi in materia di psicologia esoterica e ho trattato principalmente della natura e del metodo d’addestramento del corpo astrale. La psicologia della mente, la sua natura e le sue modificazioni potranno essere trattate più dettagliatamente ancora prima della fine di questo secolo, ma non è ancora giunto il momento.

Il nostro soggetto ora riguarda il salvarsi dalla natura corporea mediante il processo della morte.

Due fattori devono essere tenuti presente mentre cerchiamo di studiare i mezzi per pervenire a tale salvezza.

Primo. Per natura corporea intendo la personalità integrata, ossia il complesso della struttura umana, composta di corpo fisico, veicolo eterico o vitale, materia (o stato d’essere) della natura di desiderio e sostanza mentale. Tutti questi elementi costituiscono gli involucri o forme esteriori dell’anima incarnata. L’aspetto coscienza a volte è focalizzato nell’uno, a volte nell’altro, oppure è identificato con la forma o con l’anima. L’uomo di media evoluzione opera facilmente ed è autocosciente nel corpo fisico e nell’astrale. L’uomo intelligente e altamente evoluto, a questi due aspetti ha aggiunto il controllo cosciente del suo strumento mentale, sebbene solo in alcuni dei suoi aspetti, come le facoltà mnemoniche e analitiche. Inoltre, in alcuni casi è riuscito a unificare questi tre aspetti in una personalità che opera coscientemente. L’aspirante comincia a capire qualcosa del principio di vita che anima la personalità, mentre il discepolo utilizza tutti e tre gli aspetti, poiché ha coordinato, o allineato, anima, mente e cervello e comincia quindi a operare con il suo strumento soggettivo ossia con gli aspetti dell’energia.

Secondo. Questa salvezza è determinata dalla corretta comprensione dell’esperienza mistica che chiamiamo morte. Questo sarà il nostro tema e il soggetto è così immenso che potrò soltanto indicare alcune linee di pensiero sulle quali l’aspirante potrà riflettere e postulare alcune premesse che potrà in seguito elaborare. Ci limiteremo inoltre principalmente alla morte del corpo fisico.

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Prima di tutto definiamo questo misterioso processo cui tutte le forme sono soggette e che spesso rappresenta soltanto la temuta fine, temuta perché non compresa. La mente dell’uomo è così poco sviluppata che il timore dell’ignoto, il terrore di ciò che è inconsueto e l’attaccamento alla forma hanno creato una situazione in cui una delle circostanze più benefiche nel ciclo di vita di un Figlio dì Dio che s’incarna, è considerata come qualche cosa da evitare e rinviare il più a lungo possibile.

La morte, se solo potessimo rendercene conto, è una delle nostre attività più praticate. Siamo morti molte volte e moriremo molte volte ancora. La morte riguarda essenzialmente la coscienza. In un dato momento siamo coscienti sul piano fisico e un momento dopo ci siamo ritirati su un altro piano dove siamo attivamente coscienti. La morte conserverà per noi il suo vecchio aspetto terrificante solo fintanto che la nostra coscienza s’identificherà con la forma. Non appena ci riconosceremo quali anime e scopriremo di essere in grado di focalizzare la nostra coscienza, o senso di consapevolezza, in qualsiasi forma o piano a volontà, o in qualunque direzione entro la forma di Dio, per noi la morte non esisterà più.

Per l’uomo comune la morte è la fine catastrofica che comporta la fine di tutti i rapporti umani, la cessazione d’ogni attività fisica, lo spezzarsi di tutti i legami d’amore e d’affetto e il passaggio (non voluto e al quale ci si ribella) nell’ignoto e nel temuto. È come lasciare un ambiente illuminato e riscaldato, accogliente e familiare, dove sono riuniti i nostri cari, per uscire nella notte fredda e buia, soli ed invasi da terrore, sperando il meglio, ma senza alcuna certezza.

Gli uomini dimenticano tuttavia che ogni notte, durante le ore di sonno, noi moriamo al piano fisico e siamo vivi e attivi altrove. Essi dimenticano di aver già acquisito la facoltà di lasciare il corpo fisico, [495] ma non potendo riportare nella coscienza del corpo fisico il ricordo di quel passaggio e del successivo periodo di vita attiva, non riescono a collegare morte e sonno. La morte, dopo tutto, non è che un intervallo più lungo nella vita attiva del piano fisico; semplicemente, “si esce” per un periodo più lungo. Il processo del sonno quotidiano e quello della morte sono tuttavia identici, con la sola differenza che nel sonno il filo magnetico, o corrente d’energia lungo la quale scorre la forza di vita, è mantenuto intatto e costituisce il sentiero di ritorno nel corpo. Nella morte questo filo della vita viene spezzato. Quando ciò è avvenuto, l’entità cosciente non può tornare al corpo fisico denso e quel corpo, privato del principio di coesione, si disintegra.

Si ricordi che il proposito e la volontà dell’anima, la determinazione spirituale di essere e fare, utilizza il filo dell’anima, il sutratma, la corrente di vita, quale mezzo d’espressione nella forma. Quando giunge al corpo, questa corrente di vita si differenzia in due correnti, o due fili, e si “ancora” se cosi posso esprimermi, in due punti del corpo. Ciò è simbolo della differenziazione di Atma, o Spirito, nei suoi due riflessi: anima e corpo. L’anima, o aspetto coscienza, che rende l’essere umano un’entità razionale e pensante, per mezzo di un aspetto di questo filo è “ancorata” in una “sede” posta nel cervello, nella regione della ghiandola pineale. L’altro aspetto della vita, che anima ogni atomo del corpo e costituisce il principio di coesione o integrazione, raggiunge il cuore, dove si focalizza o si “ancora”. Da questi due punti l’uomo spirituale cerca di dominare lo strumento. In tal modo è reso possibile il funzionamento sul piano fisico e l’esistenza oggettiva diventa un modo d’espressione temporaneo. L’anima, stabilita nel cervello, rende l’uomo un’entità razionale e intelligente, autocosciente e autodiretta; [496] egli è cosciente del mondo in cui vive, in misura diversa secondo il punto d’evoluzione raggiunto e il conseguente sviluppo dello strumento, il quale ha una triplice espressione. Vi sono prima di tutto le nadi e i sette centri di forza; vi è poi il sistema nervoso, suddiviso in tre parti, cerebrospinale, simpatico e periferico; vi è infine il sistema endocrino, che potrebbe essere considerato come l’aspetto più denso o l’esteriorizzazione degli altri due.

L’anima, che ha sede nel cuore, è il principio di vita, il principio di autodeterminazione, il nucleo centrale d’energia positiva per mezzo del quale tutti gli atomi del corpo sono tenuti al loro giusto posto e subordinati alla “volontà di essere” dell’anima. Questo principio di vita utilizza la corrente sanguigna quale mezzo d’espressione e di controllo e, dato lo stretto rapporto fra il sistema endocrino e la corrente sanguigna, abbiamo i due aspetti dell’attività dell’anima riuniti in modo da fare dell’uomo un’entità vivente, cosciente e funzionante governata dall’anima, che esprime il proposito dell’anima in tutte le attività della vita quotidiana.

La morte è dunque, letteralmente, il ritrarsi di queste due correnti d’energia dal cuore e dalla testa, ciò che determina di conseguenza la perdita totale di coscienza e la disintegrazione del corpo. La morte differisce dal sonno in quanto entrambe le correnti d’energia si ritirano. Nel sonno si ritrae soltanto il filo di energia ancorato nel cervello e, quando ciò avviene, l’uomo perde la coscienza. Con ciò intendiamo che la sua coscienza o senso di consapevolezza sì focalizza altrove. La sua attenzione non è più diretta alle cose tangibili e fisiche, ma è rivolta a un altro mondo di esistenza e si accentra in un altro apparato o strumento. Nella morte, entrambi i fili sono ritirati o unificati nel filo della vita. La vitalità cessa di penetrare attraverso la corrente sanguigna e il cuore cessa di battere, [497] proprio come il cervello cessa di percepire e il silenzio s’instaura. La casa è vuota. L’attività cessa, eccettuata quella mirabile e immediata attività che è prerogativa della materia stessa e che si esprime nel processo di decomposizione. Sotto certi aspetti, quel processo indica quindi l’unità dell’uomo con tutto ciò che è materiale; esso dimostra che egli fa parte della natura stessa e per natura intendiamo il corpo della Vita Unica nella quale “viviamo, ci muoviamo e siamo”. Nei tre termini vivere, muoversi ed essere è racchiuso tutto. Essere è consapevolezza, autocoscienza ed autoespressione; la testa e il cervello dell’uomo ne sono i simboli exoterici. Vivere è energia, desiderio manifestato, coesione e adesione a un’idea; il cuore e il sangue ne sono i simboli exoterici. Muoversi indica l’integrazione e la risposta dell’entità vivente e consapevole che esiste entro l’attività universale; stomaco, pancreas e fegato ne sono i simboli.

È interessante tener presente, sebbene sia incidentale al nostro soggetto, che nei casi di ebetismo e idiozia, come pure nello stadio dell’età avanzata che definiamo decadenza senile, il filo ancorato nel cervello si è ritirato, mentre quello che trasmette l’impulso di vita rimane ancorato nel cuore. Vi è vita, ma nessuna consapevolezza intelligente; vi è movimento, ma nessuna direzione intelligente. In caso di decadenza senile, se nel corso della vita è stato utilizzato uno strumento d’ordine elevato, un apparente funzionamento intelligente può perdurare, ma non è che un’illusione, dovuta alla vecchia abitudine e al vecchio ritmo già stabilito e non ad un proposito coerente e coordinato.

Si deve inoltre notare che la morte avviene sotto la direzione dell’Ego, anche se l’uomo ne è totalmente inconsapevole. Nella maggioranza dei casi quel processo si attua automaticamente, poiché quando l’anima ritrae la sua attenzione, la reazione inevitabile sul piano fisico è la morte, sia per astrazione del [498] duplice filo della vita e della ragione, oppure per astrazione del filo d’energia mentale, mentre la corrente vitale continua a funzionare attraverso il cuore, ma senza alcuna consapevolezza intelligente. L’anima è occupata altrove, sul proprio piano e nei propri compiti. 

Nel caso d’esseri umani altamente evoluti, vi è spesso un senso di previsione della morte, derivante dal contatto egoico e dalla consapevolezza dei desideri dell’Ego. A volte è noto il giorno esatto della morte, mentre l’autodeterminazione perdura fino al momento finale del ritiro. Quando si tratti di iniziati, vi è molto di più. La comprensione intelligente delle leggi di astrazione consente a colui che sta effettuando la transizione di ritirarsi coscientemente dal corpo fisico, in piena consapevolezza di veglia, e continuare a operare sul piano astrale. Ciò comporta la conservazione della continuità dì coscienza, cosicché fra il senso di consapevolezza del piano fisico e quello dello stato post mortem non vi è interruzione. L’uomo sa di essere quello che era prima, sebbene privo di uno strumento che gli permetta il contatto con il piano fisico. Egli rimane consapevole dei sentimenti e dei pensieri di coloro che ama, sebbene non possa percepire il veicolo fisico denso e venire in contatto con esso. Egli può comunicare con essi sul piano astrale o telepaticamente, tramite la mente, se essi sono in rapporto con lui, mentre ogni comunicazione che implichi l’uso dei cinque sensi fisici di percezione gli è necessariamente preclusa. È utile ricordare però che, emotivamente e mentalmente, il rapporto può essere più stretto e più sensibile di quanto sia mai stato prima, poiché egli è liberato dall’ostacolo del corpo fisico. Due fattori impediscono tuttavia tale rapporto: l’intenso dolore e le violente emozioni di coloro che sono rimasti e, nel caso dell’uomo comune, la sua stessa ignoranza e [499] lo sbigottimento di fronte alle nuove condizioni in cui si trova, sebbene esse siano in realtà condizioni già note, se solo potesse rendersene conto. Quando gli uomini avranno superato la paura della morte e acquisita la comprensione del mondo post mortem, non basata su allucinazioni o isterismi o su conclusioni (spesso poco intelligenti) del medium comune che parla sotto il dominio della propria forma pensiero (che egli stesso ha costruito insieme a coloro che partecipano alla seduta), il processo della morte sarà dominato nel modo più opportuno. Lo stato di coloro che rimangono sarà trattato con cura in modo che il rapporto non venga interrotto e non vi sia un errato dispendio d’energia.

Oggi esiste una grande differenza fra il metodo scientifico di portare gli esseri in incarnazione e il modo assolutamente cieco, spesso pieno di paura e certamente del tutto ignaro in cui li accompagnamo quando ne escono. Oggi cerco di aprire una porta, in occidente, ad un nuovo metodo più scientifico di seguire il processo della morte e mi esprimerò con grande chiarezza. Quanto dirò non vuole in alcun modo sostituirsi alla moderna scienza medica con i suoi palliativi e la sua abilità. Ciò che intendo sostenere è un modo sano di accostarsi alla morte; il consiglio che cerco di dare è che quando la sofferenza sì è esaurita e sopravviene la calma, al morente sia concesso di prepararsi alla grande transizione, anche se sembra in stato di incoscienza. Non si dimentichi che la sofferenza, per prodursi, richiede forza e una consistente presa sul sistema nervoso. È forse impossibile concepire il giorno in cui l’atto di morire sarà un finale trionfante dell’esistenza? È forse impossibile immaginare il giorno in cui le ore passate sul letto di morte non saranno che un glorioso preludio a una dipartita cosciente? Quando il fatto che l’uomo sta per eliminare le limitazioni dell’involucro fisico sarà per lui e per coloro che lo attorniano una conclusione gioiosa e lungamente attesa? Riuscite a visualizzare il momento in cui invece di lacrime, paura e rifiuto di riconoscere l’inevitabile, il morente e [500] i suoi cari si accorderanno mutuamente sull’ora e in cui il trapasso sarà caratterizzato soltanto dalla gioia? Il momento in cui il pensiero del dolore non penetrerà nelle menti di coloro che rimangono e la morte sarà considerata come un evento più felice della nascita o del matrimonio? Vi assicuro che fra non molto sarà così per i più intelligenti e a poco a poco per tutti.

Voi affermate che finora vi è soltanto fede nell’immortalità, ma nessuna evidenza certa. Le numerose testimonianze, la certezza interiore del cuore umano, il fatto che nella mente degli uomini l’idea dell’immortalità esista, ne sono un’indicazione certa. Entro i prossimi cento anni l’indicazione sarà sostituita dalla convinzione e dalla comprensione, poiché si verificherà un evento e verrà fatta una rivelazione che muteranno la speranza in certezza e la fede in conoscenza. Nel frattempo si coltivi un nuovo atteggiamento nei confronti della morte e si crei una scienza della morte. Si faccia in modo che la morte cessi di sfuggire al nostro controllo e di sconfiggerci inevitabilmente; cominciamo a governare il nostro passaggio all’altro lato e a comprendere qualcosa del metodo di transizione.

Prima di trattare il soggetto più in dettaglio, vorrei accennare alla “rete esistente nel cervello”, intatta nella maggioranza degli uomini, ma inesistente per il veggente illuminato.

Come ben sapete, il corpo umano comprende un corpo vitale che ne è alla base e lo compenetra; esso è la controparte del corpo fisico, è più largo del fisico ed è chiamato corpo o doppio eterico. È un corpo d’energia composto di centri di forza e delle nadi, o fili di forza. Questi sottostanno al sistema nervoso, composto di nervi e gangli nervosi, o ne sono la controparte. Nel corpo vitale umano vi sono due orifici per l’uscita della forza di vita. Uno si trova nel plesso solare, l’altro nel cervello, alla sommità del capo, protetti [501] entrambi da una fitta rete di materia eterica, composta di fili d’energia vitale che s’intrecciano.

Durante il processo della morte, la pressione dell’energia di vita preme contro la rete producendo infine un foro o un’apertura, dalla quale la forza di vita fuoriesce a mano a mano che la potenza dell’influsso d’astrazione dell’anima aumenta. Nel caso di animali, bambini o esseri umani polarizzati unicamente nel corpo fisico e astrale, l’uscita avviene dal plesso solare ed è quindi in quel punto che viene forata la rete, consentendo in tal modo il trapasso. Quando si tratti di uomini di tipo mentale o di unità umane ancora più evolute, viene perforata la rete che si trova alla sommità della testa, nella regione della fontanella, di nuovo consentendo l’uscita dell’essere razionale pensante.

Negli psichici, nei medium e nei veggenti (chiaroveggenti e chiarudienti) di ordine minore, la rete del plesso solare è lacerata in modo permanente fin dall’inizio della vita ed essi entrano ed escono quindi facilmente dal corpo, andando in trance, e agiscono sul piano astrale. Essi non possiedono tuttavia la continuità di coscienza e sembra non esservi alcuna relazione fra la loro vita del piano fisico e gli eventi di cui riferiscono durante la trance e di cui sono totalmente inconsapevoli quando tornano alla coscienza di veglia. Tutta la loro attività si svolge al di sotto del diaframma e riguarda principalmente la vita senziente animale. Nel caso di chiaroveggenza cosciente o nell’attività degli psichici e veggenti di ordine elevato, non vi è trance, ossessione o medianità. È la rete esistente nel cervello che viene forata e l’apertura in quella regione permette l’afflusso di luce, informazioni e ispirazioni; essa conferisce pure il potere di passare allo stato di samadhi, che è la corrispondenza spirituale dello stato di trance proprio della natura animale.

Nel processo della morte vi sono perciò due uscite principali: il plesso solare per l’essere umano polarizzato nell’astrale [502] e che tende al fisico, quindi la grande maggioranza, e il centro della testa per quello polarizzato nella mente e orientato allo spirito. Questo è il primo e più importante fatto da ricordare e sarà facile rendersi conto come la tendenza di una vita e il centro dell’attenzione determinino il modo di uscire dal corpo al momento della morte. Si potrà inoltre notare che lo sforzo di dominare la vita astrale e la natura emotiva, di orientare il proprio sé al mondo mentale e alle cose dello spirito abbiano un effetto importante sugli aspetti fenomenici del processo della morte.

Allo studente che pensi con chiarezza risulterà evidente che un’uscita riguarda l’uomo spirituale e altamente evoluto, mentre l’altra riguarda l’essere umano di grado inferiore, a uno stadio poco più avanzato di quello animale. E come stanno le cose per l’uomo di medio sviluppo? Temporaneamente viene usata una terza uscita; proprio sotto l’apice del cuore vi è un’altra rete eterica, che copre un foro d’uscita. Abbiamo perciò la situazione seguente:

1. L’uscita nella testa, usata dal tipo intellettuale, dai discepoli e iniziati del mondo.

2. L’uscita nel cuore, usata dagli uomini buoni, bene intenzionati, che sono buoni cittadini, amici intelligenti e filantropi.

3. L’uscita nella regione del plesso solare, usata dall’uomo emotivo, poco intelligente, irriflessivo e da coloro la cui natura animale è forte.

Questo è il primo punto delle nuove informazioni, che nel corso del prossimo secolo in Occidente diverranno lentamente di dominio pubblico. Molto è già noto ai pensatori orientali e costituisce il primo passo verso una comprensione razionale del processo della morte.

Il secondo punto da comprendere è che può esserci una tecnica del morire e che nel corso della vita ci si può esercitare all’uso di quella tecnica.

Per quanto riguarda quest’esercitazione cui l’uomo può sottoporsi, darò qualche cenno che servirà a [503] conferire un nuovo significato a gran parte del lavoro che stanno compiendo ora tutti gli aspiranti. I fratelli maggiori della razza, che hanno guidato l’umanità attraverso lunghi secoli, ora sono molto attivi nel preparare gli uomini al prossimo grande passo da compiere. Tale passo condurrà ad una continuità di coscienza che eliminerà ogni paura della morte e legherà il piano fisico a quello astrale in un rapporto così stretto, da costituire in realtà un unico piano. Nello stesso modo in cui deve essere effettuata l’unificazione fra i vari aspetti dell’uomo, una unificazione analoga deve avvenire fra i diversi aspetti della vita planetaria. I piani devono essere unificati, come l’anima e il corpo. Tale unificazione è già stata largamente compiuta tra il piano eterico e quello fisico denso. Ora sta rapidamente progredendo fra il piano fisico e l’astrale.

Tale unificazione sta procedendo grazie al lavoro svolto dai ricercatori di tutti i settori del pensiero e della vita umani e la formazione che viene ora suggerita agli aspiranti seri e sinceri tende ad altri obiettivi e non soltanto all’unificazione di anima e corpo. Obiettivi ai quali non si è tuttavia data alcuna importanza, data l’abilità dell’uomo a dare rilievo a quelli sbagliati. Ci si potrebbe chiedere se non sia possibile formulare una serie di regole semplici, che possano essere seguite da tutti coloro che ora stanno cercando di stabilire un certo ritmo, in modo che la vita non sia soltanto organizzata e costruttiva, ma che, giunto il momento di lasciare l’involucro esterno, non presenti alcun problema o difficoltà. Vi darò quindi quattro regole semplici che si ricollegano con gran parte di ciò che tutti gli studenti fanno in questo momento.

1. Imparate a mantenervi focalizzati nella testa con la visualizzazione, la meditazione e con la pratica costante della concentrazione; sviluppate la capacità di vivere sempre di più come il sovrano seduto sul trono fra le sopracciglia. Questa regola può essere applicata ad ogni occupazione quotidiana.

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2. Imparate a servire con il cuore e non insistendo emotivamente in un’attività tesa a occuparsi degli affari degli altri. Prima di accingersi a qualsiasi attività del genere è necessario rispondere a due domande: ‑ Rendo questo servizio come individuo ad un altro individuo oppure lo faccio come membro di un gruppo a un altro gruppo? Sono mosso da un impulso egoico, oppure dall’emozione, dall’ambizione di brillare o dal desiderio di essere amato o ammirato? ‑ Queste due attività faranno sì che le energie vitali si focalizzino al di sopra del diaframma, annullando il potere d’attrazione del plesso solare. Questo centro diverrà dunque sempre meno attivo, limitando il pericolo che la rete venga forata in quel punto.

3. Imparate a ritirare la coscienza nella testa prima di accingervi al sonno. Questo è un preciso esercizio da praticare prima di addormentarsi. Non ci si dovrebbe permettere di cadere inconsapevolmente nel sonno, ci si dovrebbe invece sforzare di conservare la coscienza intatta fino a pervenire ad un passaggio cosciente nel piano astrale. Si deve cercare di rilassarsi, di mantenere viva l’attenzione e tendere costantemente verso il centro della testa, poiché fintanto che l’aspirante non ha appreso a mantenere una costante consapevolezza dei processi che precedono il sonno e a conservare contemporaneamente la sua positività, questo lavoro presenta dei pericoli. I primi passi devono essere compiuti con intelligenza e proseguiti per molti anni prima di acquisire la capacità di astrarsi.

4. Annotate e osservate tutti i fenomeni connessi al processo di ritiro, sia durante la meditazione che al momento di addormentarsi. Si vedrà, ad esempio, che molte persone si svegliano con un sussulto quasi penoso non appena si sono addormentate. Ciò è dovuto al fatto che la coscienza sguscia attraverso una rete non abbastanza sgombra e un orificio parzialmente chiuso. Altri odono uno scoppio molto forte nella testa, causato dalle arie vitali che vi si trovano, di cui generalmente non siamo consapevoli, e indotto [505] da una sensibilità uditiva interna che rende consapevoli di suoni sempre presenti, ma di solito non percepiti. Altri, addormentandosi vedranno luce, nubi colorate o strisce color viola, tutti fenomeni eterici. Questi fenomeni non hanno vera importanza, sono tutti connessi al corpo vitale, alle emanazioni praniche e alla rete di luce.

La pratica di quest’esercizio e delle quattro regole, proseguita per un certo numero di anni faciliterà molto la tecnica della morte, poiché l’uomo che ha imparato a governare il proprio corpo quando si addormenta, è in posizione di vantaggio rispetto a quello che non ha mai prestato attenzione al processo.

Attualmente posso dare solo alcuni suggerimenti riguardo alla tecnica del morire. Non mi occuperò dell’atteggiamento di coloro che assistono il morente, ma soltanto dei fattori che facilitano il trapasso dell’anima.

Prima di tutto, nella stanza regni il silenzio. Questo avviene spesso in modo naturale. Si ricordi che di solito il morente non è cosciente. Questa incoscienza è solo apparente e non reale. In novecento casi su mille vi è consapevolezza cerebrale e piena coscienza di ciò che avviene, ma la volontà di esprimersi è paralizzata e vi è totale incapacità di generare l’energia che sarebbe indice di vitalità. Se nella stanza regnano silenzio e comprensione, l’anima in procinto di allontanarsi può rimanere padrona del proprio strumento con lucidità fino all’ultimo istante e provvedere alla debita preparazione.

Più tardi, quando vi sarà maggior conoscenza dei colori, nella camera del morente saranno ammesse solo luci color arancione, che verranno installate con il dovuto cerimoniale una volta accertato che non vi sia più alcuna possibilità di guarigione. Il colore arancione favorisce la focalizzazione nella testa, come il rosso stimola [506] il plesso solare e il verde ha un preciso effetto sul cuore e sulle correnti di vita.

Quando si conosceranno meglio gli effetti del suono, verrà usato un certo genere di musica, ma ancora non esiste un tipo di musica che possa facilitare l’opera dell’anima che si ritrae dal corpo, sebbene alcune note dell’organo possano risultare efficaci. Se al momento esatto della morte è fatta risuonare la nota del morente, essa coordina le due correnti d’energia e infine spezza il filo della vita; ma sarebbe troppo pericoloso trasmettere ora questa conoscenza che potrà essere impartita solo più tardi. Vorrei indicare il futuro e le linee lungo le quali si svilupperanno gli studi dell’occultismo.

Si scoprirà pure che esercitando una pressione su certi centri nervosi e certe arterie si facilita il trapasso. (Questa scienza della morte, come molti sanno, è custodita nel Tibet.) Una pressione sulla vena iugulare, su certi grandi nervi nella regione della testa e su un punto particolare del midollo allungato si rivelerà un aiuto efficace. Verrà elaborata una precisa scienza della morte, ma questo solo quando il fatto dell’anima sarà riconosciuto e la sua relazione con il corpo sarà dimostrata scientificamente.

Verranno usate anche frasi mantriche, impresse in modo definito nella coscienza del morente dalle persone che lo assistono, oppure esse saranno usate deliberatamente e mentalmente dal morente stesso. Il Cristo ne diede una dimostrazione quando esclamò ad alta voce: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito!”. Ne abbiamo un altro esempio nelle parole: “Lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace!” Anche l’uso costante della Parola Sacra, cantata in tono sommesso o in una tonalità particolare (alla quale il morente potrebbe rispondere) in futuro potrà far parte del rituale della transizione, accompagnato dall’unzione, come è ancora praticata nella Chiesa cattolica. L’estrema unzione ha un fondamento scientifico e occulto. Il morente dovrebbe [507] essere collocato in modo che la sommità della testa sia rivolta a oriente, mentre mani e piedi dovrebbero essere incrociati. Nella stanza dovrebbe essere bruciato solo legno di sandalo e nessun altro tipo d’incenso dovrebbe essere permesso, poiché il legno di sandalo è l’incenso del primo raggio, il raggio distruttore, e l’anima è in procinto di distruggere la propria dimora.

Questo è tutto ciò che posso attualmente comunicare al pubblico in genere riguardo alla morte. Ma scongiuro tutti voi di approfondire il soggetto della morte e della sua tecnica quanto più è possibile e di proseguire le ricerche occulte sull’argomento.